Emmanuel, l’Italia e l’escalation razzista

11/07/2016 – La tragedia di Emmanuel Chidi Namdi, massacrato da un coetaneo fermano di estrema destra per aver reagito alle offese e rivolte alla compagna, è un colpo allo stomaco.

Buona parte dell’opinione pubblica ora si indigna accorgendosi che esiste anche nella profonda provincia italiana il germe dell’odio razziale. Eppure i casi di aggressioni e violenze a fondo xenofobo aumentano di anno in anno. Ma in Italia non esistono statistiche complete, né una banca dati di tutti gli gli episodi nonostante sul tema lavorino diversi enti, a partire dall’Unar.

UNAR: NEL 2015, 57 AGGRESSIONI.
Secondo l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali della presidenza del Consiglio non si può parlare di vera e propria escalation: nel 2015 le segnalazioni di aggressioni fisiche di stampo razzista, dicono a Lettera43.it, sono state 57; 78 se si comprendono anche quelle verbali. Contro le 56 del 2014. In Germania, per fare un confronto, secondo le statistiche del Bundeskriminalamt (Bka), l’ufficio criminale federale, e del Bundesamt für Verfassungsschutz, il controspionaggio, gli episodi di intolleranza nei confronti degli stranieri sono stati 198 nel 2014 e 817 nel 2015. I dati Unar sono però raccolti nel contact center e dall’osservatorio media dell’Ufficio e dall’Oscad, il centro interforze del ministero dell’Interno. Va da sé che non rappresentano la totalità degli episodi che si stimano essere molto di più.

LA DENUNCIA EUROPEA.
 A parlare chiaro, invece, è la Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza che nell’ultimo rapporto 2016 ha sottolineato come le autorità italiane non siano ancora in grado di raccogliere dati «in modo sistematico e coerente». «Le fonti principali dei dati sui reati legati al discorso dell’odio», si legge nel report, «sono l’Unar, l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad), la banca dati del sistema di indagine della Polizia giudiziaria (Sdi), il ministero della Giustizia e l’Istituto nazionale di statistica (Istat). Tali sistemi non utilizzano tuttavia le stesse categorie e non fanno sempre una distinzione tra il discorso dell’odio e altri reati riconducibili al razzismo e alla discriminazione razziale».

Le centinaia di Emmanuel e Chimiary, anonimi che sbarcano ogni giorno. La tragedia di Fermo, con il suo carico emotivo, ha riacceso i riflettori sulla piaga della xenofobia. L’opinione pubblica si è commossa per la storia della coppia. Scampati all’orrore di Boko Haram che ne ha decimato le famiglie, i due ragazzi hanno affrontato le violenze in Libia, attraversato il Mediterraneo, perso due figli. Sembrava che la loro vita potesse ricominciare in Italia. E invece così non è stato.

SPOSI SENZA DOCUMENTI.
 Non erano nemmeno sposati ufficialmente, perché al loro arrivo Emmanuel e Chimiary non avevano documenti. E lei, in assenza di altri famigliari, non ha potuto dare il consenso per l’espianto degli organi. La verità, però, è che di Emmanuel e Chimiary ne sbarcano a decine ogni giorno sulle nostre coste. Fuggono tutti dalla violenza jihadista, dalla guerra e dalla fame. Solo che non hanno nome e finiscono triturati in numeri e statistiche. Bollati indistintamente come «clandestini», spiega a Lettera43.it don Giancarlo Perego direttore di Migrantes, associazione che aiuta i profughi a integrarsi in Italia. Per questo la tragedia di Fermo ora può cambiare qualcosa. E aprire gli occhi.


EMMANUEL COME PABLO.
«Hanno ammazzato Emmanuel, Emmanuel è vivo», dice don Perego parafrasando Pablo di De Gregori. «Emmanuel è vivo, nella sua famiglia, in sua moglie e nella sua figlia morta in grembo, negli altri giovani richiedenti asilo accolti nel seminario vescovile di Fermo, nei tanti giovani che sono arrivati o stanno arrivando in Italia e in fuga soprattutto dall’Africa violentata e offesa da terrorismo, guerre, sfruttamento», continua, «tocca a noi ora responsabilmente aiutare a guardare a questi volti e a queste storie con occhi diversi, con parole diverse, con una cura diversa». La speranza è che questa assurda morte «aiuti le vite degli altri migranti». Quelle aggressioni relegate alle cronache locali
Quello di Fermo non è un caso isolato. Ma si tratta di storie che per lo più restano impigliate nelle pagine delle cronache locali. «ORA TI DO FUOCO». Come quella di un maliano che a Parma, nemmeno un mese fa, è stato minacciato con un accendino da un autista di un bus di linea: «Ora ti do fuoco», gli ha gridato in faccia. La sua colpa? Essere salito sul mezzo con un carrellino. Il primo giugno, invece, un giovane di colore stava cercando come ogni giorno di vendere la sua merce ai tavolini di un bar a Livorno. Un cliente lo ha sbattuto a terra prendendolo a calci. L’unico presente a prendere le sue difese è stato un consigliere comunale della lista civica Buongiorno Livorno.

I FASCISTI DEL BANGLATOUR.
 Infine a gennaio di quest’anno 13 estremisti di destra (tra cui uno di Forza Nuova) sono stati indagati a Roma per aver compiuto raid tra Tor Pignattara, Casilino, Pigneto e Prenestino contro negozianti del Bangladesh, «perfetti per le spedizioni punitive» commenntavano i neofascisti, «perché non reagiscono e non denunciano». Raid che avevano ribattezzato «Banglatour». Disinformazione, hate speech, istigazione all’odio: così si alimenta la violenza
L’intolleranza nei confronti del diverso, dell’immigrato cresce, è palpabile. Ed è alimentata «da certi talk show, dall’hate speech sui social, da una informazione che falsifica i dati e da una certa politica», mette in chiaro don Perego. «Secondo le statistiche dell’Unar», conferma la Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza, «le segnalazioni relative a discorsi di incitamento all’odio nei media (compreso internet) rappresentano il 34,2% dell’insieme delle denunce ricevute nel 2013, rispetto al 19,6% nel 2012». E certo non solo nelle Marche, una delle tre regioni insieme con il Veneto e l’Umbria dove il numero di migranti è diminuito.

«L’INVASIONE INARRESTABILE» CHE NON ESISTE.
 Nonostante ciò, sottolinea il presidente di Migrantes, «si continua a parlare di ‘invasione inarrestabile’ in riferimento a 130 mila richiedenti asilo e rifugiati accolti. Falsificazioni che impediscono ancora una adeguata politica dell’immigrazione». La morte di Emmanuel è stata così «preparata da questo clima sociale e politico che si nasconde dietro la mano omicida».

L’INCAPACITÀ DELLA POLITICA.
 Sono evidenti le responsabilità di una politica che «non ha governato il fenomeno migratorio», continua il direttore di Migrantes. «Basta pensare agli effetti della Bossi-Fini. L’immigrazione è sempre stata considerata esclusivamente dal punto di vista della sicurezza, e non quello dell’inclusione e dell’incontro». Questi giovani, prosegue il sacerdote, tra l’altro «portano forza lavoro, voglia di vivere, capacità, carica vitale». La strada da fare, insomma, è lunga. E passa da una rivoluzione culturale e sociale. «Prendiamo la legge sulla cittadinanza», fa notare, «è ancora ferma in Senato. Mentre il diritto di voto amministrativo per gli immigrati è di là da venire». Senza parlare del pantano burocratico per il diritto d’asilo. Da Calderoli a Buonanno: quando la politica diffonde odio.
Emmanuel, un «clandestino» fino a ieri e oggi un «uomo, un marito che voleva ricostruirsi una vita in Italia», aveva reagito ad Amedeo Mancini, 38enne titolare di una grossa azienda zootecnica e volto noto della tifoseria della Fermana, che per strada aveva strattonato e dato della «scimmia» alla sua compagna.


IL PRECEDENTE DI CALDEROLI.
 Tre anni fa, però, a definire «scimmia» un ministro della Repubblica di colore non era stato un ultrà di estrema destra e già raggiunto da Daspo ma un senatore: il leghista Roberto Calderoli. Il parlamentare però nel settembre dal 2015 è stato salvato dal Senato. Per lui autorizzazione a procedere solo per diffamazione nei confronti di Cécile Kyenge, non per istigazione all’odio razziale.

BUONANNO CONTRO I ROM.
 E che dire dell’europarlamentare leghista Gianluca Buonanno, scomparso recentemente, che definì i rom «feccia della società». Parole d’odio che in qualche misura contribuiscono a «legittimare» la violenza, sottolineano da Lunaria. Come è evidenziato anche nel report della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza che ricorda come «un certo numero di episodi di discorsi dell’odio da parte di rappresentanti politici» abbiano avuto «come bersaglio immigrati, rom, musulmani e persone Lgbt».

NON SOLO RADIO PADANIA. 
La discriminazione, alimentata dalla paura, così si insinua, e sconfina in ambienti estranei a quelli di Radio PadaniaIl 29 giugno su Radio Tre è stata data la notizia del recupero del peschereccio Ivory che nell’aprile 2015 naufragò nel canale di Sicilia, al largo delle coste libiche, portando con sé, sul fondo del mare, 700 vite. I commenti degli ascoltatori alla rassegna stampa parlano da soli: «Chi lo ha autorizzato, e quanto costa?»; «il recupero è offensivo nei riguardi degli italiani in difficoltà, le sepolture vanno fatte da sempre in mare»; «non ci sono soldi per la sanità, per le pensioni, per la manutenzione delle strade, ma poi ci beiamo di aver recuperato il relitto di un barcone naufragato». Dal Not in my name siamo così passati al Not in my backyard, non nel mio cortile. Al grido del salviniano «Prima gli italiani».

Da Lettera43.it

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