Cnh Jesi: una crisi e il suo decalogo

Alla Cnh di Jesi c’è solo una domanda da porsi: “come uscirà la fabbrica dalla crisi?” A nostro parere l’idea di puntare esclusivamente sui restyling dei prodotti (per quanto importanti siano), sull’argento del Wcm, e sul recupero di efficienza delle linee di montaggio, pare decisamente poco.

Crediamo invece che occorra rimettere al centro quello che è il vero valore aggiunto dello stabilimento: le persone che col loro lavoro lo popolano e lo mandano avanti tutti i giorni. La vera differenza può farla solo il provare a valorizzare il loro saper fare e la qualità della loro condizione lavorativa. Questo è quello che pensiamo debba essere rimesso in moto. Gli investimenti per quanto necessari da soli non bastano, se non si investe direttamente sulla forza operaia e sul lavoro da essa svolto.

Insomma quello di cui vorremmo discutere non è solo di come si esce dalla crisi in termini quantitativi (più trattori), ma di come si creano le condizioni per “un buon lavoro”, che a nostro giudizio deve essere uno dei presupposti principali per il rilancio dello stabilimento.
L’errore che non possiamo permetterci è aspettare passivamente che passi ‘a nuttata. Senza invece provare ad elaborare un progetto di rilancio, una proposta, che seppur non nascondendosi le difficoltà – in questo senso la bacchetta magica non ce l’ha nessuno, neppure l’azienda! -, allo stesso tempo sia in grado di offrire un punto di vista fondamentale: quello dei lavoratori. Consapevoli però di quanto precario è il passaggio che sta compiendo oggi lo stabilimento, lontano dagli oltre 33.800 trattori prodotti nel 2008 con oltre 1100 persone che ci lavoravano, e i 17.000 (praticamente la metà) a fatica prodotti oggi, con un numero di dipendenti (850) che senza turnover, ogni mese che passa, risulta costantemente in calo.

di Marco Brunetti

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