“La Camera del Lavoro è un portato della necessità dei tempi, per provvedere alla disoccupazione, al collocamento degli operai, alla stabilità dei salari, alle garanzie necessarie per la durata ed osservanza del loro contratto di lavoro, e quindi come tale tende, elevando le condizioni di vita morale ed economica del proletariato, a rendere meno stridenti i contrasti che formano il fenomeno caratteristico della vita moderna e deve percciò da tutti essere riconosciuta l’alta sua importanza e utilità sociale”. Alessandro Bocconi
La nascita della Camera del Lavoro anconetana è il prevedibile sbocco dei movimenti sociali e politici che interessano la città dorica al volgere dell’Ottocento. Inoltre, in un’Italia liberale percorsa da rivolte originate soprattutto da cause economiche e da un malcontento diffuso per l’inadeguate gestione amministrativa del paese, si avverte sempre di più la necessità di un’area comune, dove le istanze dei lavoratori siano rivendicate con la forza che né la società di mutuo soccorso né le leghe di resistenza e di miglioramento, da sole, possono garantire.
La svolta nella città dorica si ha nel 1898, quando ad Ancona si registrano moti contro il rincaro del pane, che precedono addirittura quelli be più cruenti di Milano. Il bisogno di una CdL diventa allora palese e mentre la repressione poliziesca del governo di Rudinì colpisce pesantemente i responsabili delle agitazioni, nel capoluogo marchigiano i socialisti si fanno carico di serrare le fila del proletariato intorno a un disegno di cui è il loro leader, Alessandro Bocconi, a farsi portavoce. L’occasione per lanciare lproposta si presenta nell’estate del 1900, quando la società tra barbieri e parrucchieri invita nel capoluogo marchigiano Antonio Maffi, già rappresentante di gruppi operaisti al congresso costitutivo del PSI. E il 9 dicembre 1900, presso i locali della Società dorica di mutuo soccorso, alcune centinaia di operai e contadini approvano lo statuto della Camera del Lavoro di Ancona e provincia.
La CdL dorica cresce rapidamente, arrivando a contare nella primavera del 1902 già tremila iscritti e diventa ben presto un esempio ripreso da altri centri della regione come Jesi e Macerata.
Nonostante le tensioni interne e alcune divergenze di vedute alla vigilia della grande guerra Ancona diviene guida del movimento proletario italiano. Già nel 1913 il capoluogo marchigiano si impone all’attenzione delle cronache, essendo scelto come nuova sede nazionale del Sindacato Ferrovieri (SFI). E il 7 giugno 1914 un comizio antimilitarista ad Ancona si trasforma in un principio di rivoluzione. Quel giorno, a Villa Rossa, parlano il segretario in carica della CdL dorica, Alfredo Pedrini, un suo predecessore, Sigilfredo Pelizza, quindi Malatesta per gli anarchici, Pietro Nenni e Oddo Marinelli per i repubblicani. Tutti per chiedere la liberazione di un soldato agli arresti per aver ferito un suo superiore per protesta contro la guerra in Libia. Alla fine della riunione la folla si disperde, ma le forza che pattugliano Villa Rossa sparano su alcuni partecipanti, uccidendone tre. La reazione di anarchici, socialisti e repubblicani è congiunta: la città si solleva e coinvolge nella lotta altri centri del paese. La Camera del Lavoro anconetana proclama lo sciopero generale. Il tentativo rivoluzionario si portare per una settimana (ricordata poi come la Settimana Rossa), finché la Confederazione Generale del Lavoro, nata nel 1906 per creare un collegamento nazionale tra le CdL, decide di far cessare le agitazioni. Il fronte delle sinistre è spaccato, la repressione poliziesca diventa durissima e si forma un nuovo organismo dirigente, provvisorio, del quale entrano a far parte personaggi come Alberico Angelozzi, Renato Gigli e Mario Zingaretti.
“La Camera del Lavoro non aveva mai voluto aderire alla Confederazione del lavoro a causa del riformismo di quest’ultima e noi facemmo del nostro meglio per non farvi aderire anche altre organizzazioni. C’erano in italia la Confederazione generale del lavoro e l’unione sindacale: la Camera del Lavoro non aderiva né all’una né all’altra, era un organismo autonomo.” Mario Zingaretti
Ancona esce distrutta dal conflitto, priva di industrie ragguardevoli, a eccezione del cantiere, comunque prostrato dai bombardamenti e dal crollo delle commesse statali. Nel frattempo però si ricompongono le vecchie CdL e se ne attivano di nuove come quella di Fabriano (1919) e di Osimo (1920), le leghe rosse nelle campagne acquistano una dimensione di rilievo e nell’aprile del 1921 viene inaugurata al Pinocchio la Casa del Contadini affiliata alla locale Camera del Lavoro. Ancona è di nuovo tra le città protagoniste con tre episodi su tutti durante il biennio rosso 1919-20: i moti per il caroviveri, la rivolta dei bersaglieri e l’occupazione del cantiere navale. Ma nonostante tutto ancora la CdL di Ancona non rappresenta un imprescindibile punto di riferimento per i proletari: gli scioperi, i cortei e le occupazioni continuano a essere decisi spesso per via autonoma dalle singole leghe, con il sindacato locale che viene interpellato solo a protesta iniziata.
Ormai il partito fascista incombe, iniziando persino la distruzione fisica degli avversari politici e delle relative organizzazioni, i sindacati decidono di compattarsi, ma non è sufficiente. Nell’estate del 1922 si conclude definitivamente l’età liberale nella città dorica e si apre un ventennio di repressioni e violenze. La CdL scompare, lasciando di sé solo un traccia affumicata nel rione degli Archi e il ricordo di due decenni spesi nello sforzo di organizzare un proletariato per gran parte refrattario ad ogni forma di disciplina.
“Ruggeri mi chiamò vicino a sé e praticamente mi ordinò, a nome del Comitato Liberazione Nazionale, di trovare, aprire e organizzare subito la nuova camera del lavoro, risorta dopo quella distrutta nel 1922 dalle squadracce fasciste e mi indicò Morico, Fulgi, Canonici, come i tre segretari che avevano appena ricevuto l’investitura.” Alvaro Lucarini
La Camera confederale del Lavoro di Ancona è ricostituita ufficialmente il 21 luglio 1944 e dal dicembre del 1945 nelle Marche cominciano le battaglie mezzadrili che si fanno più aspre soprattutto tra gli anni 1947-48. Miseria e salari irrisori caratterizzano questi anni. Una delegazione anconetana si reca a Roma per essere ricevuta del ministro dei Lavori pubblici: il deputato socialista Achille Corona presenta un’interrogazione urgente a Scelba e questi, alla Camera, replica che avrebbe dato risposta entro 6 mesi, ma durante l’inverno del 1949 la popolazione dell’anconetano è ridotta allo stremo.
“Il rinnovo del contratto del 1969 aveva fatto compiere un passo avanti significativo al movimento sindacale e operaio, soprattutto i giovani dopo la concessione di quel contratto avevano iniziato a fare politica e a occuparsi di questioni sindacali.” Carlo Sarzana.
Nel 1959 si conclude una vertenza importante: il rinnovo dei metalmeccanici che però, sul piano economico, non ottiene risultati soddisfacenti né dal punto di vista della remunerazione né per quanto riguarda l’introduzione di strumenti in grado di incidere nei criteri della conduzione aziendale.
Gli anni ’60 ad Ancona, come in tutta Italia, sono contrassegnati dai problemi derivanti dall’unità sindacale, dalla contrattazione e dalle riforme e la CCdL, oltre a tutto questo, deve preoccuparsi della questione del finanziamento del sindacato e deve anche adeguarsi alle nuove esigenze: la contrattazione articolata impone infatti la formazione di sindacati di categoria. Per portare avanti lotte omogenee agli obiettivi generali si forma il comitato regionale della CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro).
Inizialmente scendono in lotta le maestranze del settore delle fisarmoniche di Castelfidardo per il rinnovo del contratto di lavoro, la vertenza è dura e si protrae per mesi. Nel frattempo, a Fabriano, inizia la lotta dei lavoratori della Fiorentini e a Senigallia degli operai della Italcementi. Poi è la volta di Loreto dove nel 1964 si scatena una dura lotta per il rinnovo del contratto di lavoro di ditte che producono articoli religiosi. La vertenza si trascina per quasi due anni e quando sembra vicina una soluzione, la più grossa azienda del settore licenzia 200 lavoratori, per lo più donne, che poi verranno assunte dalla Farfisa, una delle più grandi aziende anconetane del settore musicale, che ben presto decide di applicare il contratto dei metalmeccanici.
Nel 1965 a Fabriano gli operai delle cartiere Miliani sono impegnati in una difficile vertenza sull’organizzazione del lavoro e si amplia anche l’attività del gruppo Merloni dove la CGIL non è presente.
Anche il 1967 è ricordato come un anno di dura e lunga lotta dei lavoratori della Maraldi che aprono una vertenza per la parificazione con lo stabilimento di Forlimpopoli. Nel febbraio del 1968 viene poi indetto uno sciopero generale che raccoglie adesioni in tutto il paese . Ad Ancona migliaia di persone, lavoratori e cittadini, partecipano alla manifestazione e questo “autunno caldo” viene vissuto con entusiasmo da tutto il movimento sindacale e le 3 organizzazioni, CGIL CISL UIL, continuano ad avere nuovi iscritti. Prima i lavoratori della Standa, poi un gruppo di insegnanti costituisce il Sindacato provinciale scuola CGIL e il 29 ottobre ad Ancona si svolge il più importante sciopero della provincia a cui aderiscono non solo gli operai, i lavoratori e gli impiegati di tutti i settori, ma anche i commercianti, i professionisti, gli studenti, giovani e donne.
Con il ’69 si chiude una stagione di lotte dure che danno una maggior consapevolezza del ruolo dirigente della classe operaia. Si iniziano così a creare federazioni provinciali unitarie e prendono vita piattaforme territoriali. Quella di Ancona viene avviata nel 1972, subito dopo il terremoto, ponendosi obiettivi prioritari che godono dell’appoggio totale della popolazione: ricostruzione della città, sviluppo del porto e rinnovamento del cantiere navale.
“Negli anni ’80/’90 il sindacato confederale si è trovato a gestire problemi relativi alla tenuta del potere d’acquisto dei salari, dopo l’eliminazione della scala mobile per effetto del risultato del Referendum del 1984. Nel ’90 ci si è trovati a gestire, avendola condivisa, la scelta dell’integrazione europea.”
Impegni, iniziative, proposte di carattere nazionale hanno, in questi anni, sempre delle ricadute a livello territoriale. La priorità è stata data alla concretizzazione decentrata di categoria nei luoghi di lavoro, contemporaneamente ad una contrattazione confederale basata sui temi dello sviluppo produttivo ed occupazionale e sullo stato sociale.